Chi sono
Se siete arrivati fin qui forse vi interesserà sapere che...
sono nato a Milano in Darsena quando questa era ancora periferia di migranti. Ma poi la Darsena è diventata Centro e allora ho pensato bene di spostarmi verso altre periferie, finendo a Rozzano.
Sono bibliotecario per caso in un vecchio mulino e non-fotografo per vocazione, probabilmente da quella volta che mi capitò in mano la vecchia Comet di mia mamma (ma non è che ne sono proprio certo).
Non è un gran che come inizio, ma questo per spiegarvi perchè a volte parto dalla mia strana biblioteca per ragazzi alla ricerca di storie e sogni, tra montagne, libri per bambini e ragazzi, fumetti, musica, cinema.
E dopo averne fatto incetta mi capita persino di sentire l’esigenza di mettere in fila tutte le tracce dei mondi incrociati e narrarle, cercando segni adeguati per tradurre e organizzare il mio confuso immaginario, e metterlo a disposizione di chi, per caso o di sua sponte, incontrerà i miei (im)possibili universi.
Partendo quindi dal mio atavico bisogno di narrazioni ho scritto libri sulle biblioteche e inventato giochi in scatola, provando nel contempo a declinare ricerca e sguardi sul rapporto tra immagine fotografica, illustrazione e parola, anche attraverso percorsi progettuali crossmediali con i ragazzi, cercando certezze e conferme tra chi i segni fotografici li ha cantati, descritti e persino demonizzati.
Ho provato con Roland Barthes*, per capire se effettivamente la fotografia rappresentasse la pratica del segno più vicina alle mie convinzioni e ai miei fantasmi.
Mi sono domandato con Italo Calvino? perché continuo ad amare una cosa ormai sprovveduta di fascino e d’imprevisto come la fotografia.
Ho dato credito alle tesi di Susan Sontag* che indica i fotografi come promotori attivi di nostalgia, e la fotografia come attestazione dell’inesorabile azione dissolvente del tempo.
E infine quando si è palesato Wim Wenders* la confusione si è definitivamente trasformata in assioma: Ogni foto è anche un aspetto della creazione al di fuori del tempo e il poter fotografare è un atto di presunzione e di ribellione: è troppo bello per essere vero, ma è anche altrettanto troppo vero per essere bello (e se fosse l’assioma a essersi fatto definitamente confusione? mah…).
Così tra fantasmi di intellettuali, scrittori, registi e persino tizi - esperti assai - che ti relegano nel girone infernale dei “non-fotografi” e alla ricerca di una botta di autostima (latente fino a quel momento), ho dato credito al mio provato e vaneggiante Io interiore tirando fuori dai cassetti le foto scattate in questi anni, alla ricerca di possibili fili per legare tra loro immagini diverse e, forse, anche un po’ inutili.
L'intreccio di questi fili ha prodotto trame diverse e forse persino interessanti, che simili a carte geografiche, ho provveduto a raccogliere nel sito che state maneggiando; un (non)luogo che contiene le mie fotografie - molte delle quali hanno avuto finanche l’onore e l’onere di essere esposte in biblioteche e centri culturali - e le mie parole, e aspira ad essere un personale ATLANTE del mio immaginario iconografico e narrativo del mondo (naturale e antropico) che da qualche anno mi tocca in sorte frequentare.
“L’atlante è il libro, il luogo in cui tutti i segni della terra, da quelli naturali a quelli culturali, sono convenzionalmente rappresentati: monti, laghi, piramidi, oceani, città, villaggi, stelle, isole. In questa totalità di scrittura e descrizione, noi troviamo il posto dove abitiamo, dove vorremmo andare, il percorso da seguire” *
* LE CITAZIONI:
Roland Barthes, L’impero dei segni
Italo Calvino, da Le follie nel mirino
Susan Sontag, Sulla fotografia
Wim Wenders, Una volta
Luigi Ghirri, Atlante